L’amanita verna si sviluppa dalla primavera fino all’autunno. Per questa sua caratteristica viene anche chiamata “tignosa di primavera”. Il suo habitat ideale sono i boschi di latifoglie, specie quelli dove sono presenti castagno, pioppo e leccio. Il cappello è sferico, liscio e di colore bianco. Si presenta vischioso con l’umidità, con un margine molto sottile e con un diametro che va dai cinque ai dieci centimetri. Le lamelle sono abbastanza fitte, bianche, separate dal gambo e da tantissime lamellule. Il gambo presenta forma cilindrica, è alto, di colore bianco, lievemente più grosso alla base, cavo, e farinoso dalla zona dell’anello fino al piede. L’anello si trova nella parte alta del fungo, quasi dopo l’attaccatura delle lamelle. E’ bianco, fragile e poco resistente. L’amanita verna presenta una volva bianca molto grande, quasi sproporzionata rispetto al gambo. Questa struttura si trova spesso nascosta sottoterra, ma è l’unica che permette di distinguere l’amanita verna dagli altri funghi. Spesso, infatti, si tende a scambiare il fungo con i comuni prataioli, perché si tende a raccoglierlo senza gambo. In questo modo, la volva rimane nascosta nel terreno e non si potrà mai capire se si sta raccogliendo un prataiolo commestibile o un fungo velenoso e mortale. Le spore dell’amanita verna sono bianche, massive, sferiche e amiloidi. Trattandosi di un fungo velenoso, non sarebbe opportuno descrivere le caratteristiche della carne. Ma se proprio ci tenete, vi diciamo subito che questa ha un odore delicato negli esemplari giovani e nauseabondo in quelli vecchi. Il sapore è acre. Che non vi venga in mente di assaggiarla! L’amanita verna, lo ribadiamo, è un fungo mortale.
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Proprio perché è facilmente confondibile con altri funghi commestibili, specie con i prataioli, l’amanita verna è considerata ed è a tutti gli effetti, uno dei funghi più pericolosi che esistano. Viene ingerita per sbaglio da raccoglitori inesperti, che la scambiano per altro e che la raccolgono recidendo il gambo e senza accorgersi della volva posta alla base dello stesso e nascosta sotto il terreno. L’amanita verna contiene le stesse tossine di altri funghi velenosi appartenenti al genere amanita. Si tratta delle amanitine o amatossime, presenti anche nell’amanita phalloides e nell’amanita virosa. L’ingestione di amanita verna causa la cosiddetta sindrome falloidea, un’intossicazione che, se non curata in tempo, può condurre alla morte.
La sindrome falloidea è una gravissima condizione clinica causata dall’ingestione di funghi velenosi. Viene innescata anche dal consumo casuale di esemplari di amanita verna o di amanita phalloides o amanita virosa. La sindrome falloidea si può presentare anche dopo 24 ore dall’ingestione. I sintomi sono più o meno gravi e variano in base alla quantità di funghi ingeriti. L’assenza di sintomi per alcune ore dall’ingestione, può indurre anche a consumare ulteriori esemplari di amanita verna. I sintomi iniziali sono a livello dell’apparato gastroenterico, con nausea, vomito, mal di stomaco e diarrea incontenibile. L’elevata espulsione di liquidi può causare anche una grave disidratazione. Dopo i sintomi gastrointestinali, entrano in scena le tossine del fungo, ovvero le amanitine, che bersagliano il fegato bloccando la sintesi delle proteine. Le tossine attaccano gli enzimi epatici causando la necrosi e la distruzione delle cellule di questo importantissimo organo. In caso di ingestione di quantità minime, la sindrome falloidea guarisce in una settimana, mentre il fegato può riprendere a funzionare dopo un mese. In caso di ingestione di quantità più elevate, il danno epatico diviene irreversibile e questa condizione porta di solito al decesso. Se non avviene un miglioramento dei sintomi entro cinque o sei giorni, allora vuol dire che si sono ingerite quantità eccessive di amanita verna. Non è facile scampare a simili intossicazioni. In caso di intervento immediato e se si riesce ad avere salva la vita, in genere si finisce con il dover subire un trapianto di fegato, perché le amanitine riescono a distruggere completamente tutti i tessuti epatici.
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