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Nell’antica Grecia si riteneva che il primo narciso – simbolo dell’egoismo, della vanità e della presunzione – fosse sbocciato laddove il mitico giovane cacciatore Narciso si era innamorato dell’immagine di se stesso riflessa in uno specchio d’acqua fino a morirne prematuramente a primavera annegando nel tentativo di abbracciarsi oppure, in un’altra versione, consumato dallo struggimento, da fame e sete, seduto solitario sulla riva. Quando era nato da una Naiade, Liriope, e dal dio fluviale Cefiso, l’indovino Tiresia ne aveva predetto infatti il destino di rimanere immortale finché non si fosse guardato. Il mito di Narciso, presente in numerose versioni nella mitologia greca, fu riportato dal poeta latino Ovidio nel terzo libro del poema epico ‘Metamorfosi’ (8 d.C. ca.) e diventò ricorrente in opere artistiche a olio su tela – ‘Narciso’ nel 1546-48 per mano di Michelangelo Merisi detto il Caravaggio, nel 1728 dal pittore francese rococò François Lemoyne, nel 1937 nella ‘Metamorfosi di Narciso’ dell’eclettico surrealista Salvador Dalí – e in statue come quella sulla facciata a nord del Louvre, a Parigi, scolpita nel 1866 dallo scultore francese Paul Dubois. Nel mito greco sulla tragica storia d'amore di Narciso e Eco si narrava che questo giovane straordinariamente attraente, così superbo e fiero che, con atteggiamento freddo e distaccato, rifuggiva da tutte le giovani donne che lo cercavano preferendo andare a caccia di cervi da solo. La bellissima ninfa di nome Eco, nascosta dietro a un albero, intravide Narciso e, colpita dalla sua bellezza, se ne innamorò perdutamente. Eco non poteva parlare, ma soltanto ripetere le ultime parole pronunciate dagli altri in seguito alla maledizione di Giunone, che le aveva tolto la voce per punirla del fatto che suo marito Zeus induceva la ninfa a far sì che riuscisse distrarla a parole per tradirla con le altre ninfe. Dopo essersi comunque dichiarata, infelice e addolorata in seguito al rifiuto dettato dall’arroganza di Narciso, si consumò tra le lacrime struggendosi a tal modo che di lei rimase soltanto la voce. Scene raffiguranti ‘Eco e Narciso’ furono dipinte nel corso dei secoli da molti artisti, come nel 1629-1630 ca. dal pittore francese Nicolas Poussin in stile classico, nel 1903 dal britannico John William Waterhouse, famoso per i soggetti mitologici in stile preraffaellita, così come nel ‘Narciso ed Eco’ dell’italiano Placido Costanzi (1688-1759) nel periodo tardo Barocco e dello statunitense neoclassico Benjamin West nel 1805. La dea della vendetta Nemesi, dispiaciuta per il tormento di Eco, attirò Narciso presso un lago per indurlo a infrangere il suo destino: chinatosi a bere nelle acque chiare, non riuscì a resistere a guardare la propria immagine riflessa, se ne innamorò senza speranza, si disperò per non poter più vivere e, infatti, svanì per effetto della punizione divina. Quando giunsero le sue sorelle Naiadi per procedere alla sepoltura, trovarono un bel fiore giallo profumato dal cuore bianco al posto del suo corpo: gli dèi non volevano dimenticare la bellezza di colui che era stato il più attraente di tutti. Ancora oggi, con il termine ‘narcisista’ si intende colui che soffre del ‘complesso di Narciso’, ama soltanto se stesso e non gli altri.
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I narcisi erano considerati simboli di purezza dai Druidi – la classe di sacerdoti dei Celti dislocati in gran parte dell’Europa centrale e sulle isole britanniche tra il IV e il III secolo a.C. – però si diffuse la leggenda che erano diventati velenosi dopo avere assorbito tanti pensieri malvagi dagli uomini. Ma a causa del contenuto in alcaloidi (licorine, galantamina, ecc.) – nelle foglie e soprattutto nei bulbi, nei quali è concentrata la narcisina, il narciso è davvero una pianta velenosa. Queste sostanze chimiche tossiche combinate con i cristalli di ossalato di calcio contenuti nella linfa provocano orticaria e dermatite allergica da contatto (screpolature, desquamazione, eritema nelle mani, ipercheratosi subungueale, cioè ispessimento della pelle sotto le unghie) per lo più ai lavoratori del settore floricolo (coltivatori di bulbi, fioristi). Nel settore della profumeria, possono insorgere reazioni a contatto dell’essenza di narciso, dal profumo dolce ed inebriante, con conseguenti gravi problemi di allergia (rinocongiuntivite allergica, asma, ecc.), anche ad esito letale. L’ingestione del bulbo provoca disturbi neuronali, gravi sintomi multisistemici (ipotermia, tremori, convulsioni), irritazione gastrointestinale (vomito, gastrite grave, diarrea) da curare entro 24 ore negli animali da pascolo e nell'uomo per non rischiare un esito infausto. L’avvelenamento accidentale può avvenire scambiando i bulbi di narciso per cipolle, come è successo nel 2009, in Inghilterra, agli alunni della Gorseland Primary School a Martlesham Heath, nella contea del Suffolk, dopo avere consumato una zuppa durante una lezione di cucina. A partire dal VII-IX secolo, pare che invece l’antica medicina tradizionale giapponese Kampo, riadattamento di quella cinese a base di erbe, trattasse le ferite con un impasto a base di bulbo di narciso e farina di grano.
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