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Nei peperoncini piccanti sono contenuti degli alcaloidi detti capsaicidinoidi. Vengono prodotti dalla pianta per difendere i frutti e i semi. Sono infatti concentrati per lo più nella membrana bianca che si trova all’interno e sulla superficie esterna dei semi. Questo tipo di alcaloidi tuttavia è “fastidioso” solamente per i mammiferi, capaci di digerire completamente i semi. Gli uccelli, invece, non li percepiscono minimamente: sono infatti loro che, in natura, si cibano abitualmente dei peperoncini, espellendo in seguito i semi (che, dopo questo passaggio, germinano addirittura più facilmente), rivestendo un ruolo fondamentale per la diffusione di queste piante anche a grandi distanze.
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Sulla nostra lingua, in bocca e in gola (e in generale su tutte le mucose) vi sono dei recettori di vario tipo:trasmettono al nostro cervello il gusto dei cibi oltre alle sensazioni di caldo, freddo o eventualmente di dolore. Nel nostro caso dobbiamo soffermarci sul recettore VR1( acronimo per Vanilloid receptor type 1) che ha la funzione di segnalare l’introduzione di un cibo pericoloso per il nostro esofago e stomaco perché troppo caldo, in particolare ad una temperatura dai 43°C ai 52°C. Qui entrano in gioco i capsaicinoidi: le loro molecole hanno la struttura chimica ideale per attivare questi recettori che vengono ingannati trasmettendo al cervello una sensazione di estremo calore che in realtà non esiste.
Negli Stati Uniti, in particolare negli stati meridionali, vi è sempre stato un grande interesse per la piccantezza: il peperoncino viene infatti impiegato massicciamente in moltissimi piatti e vi è molta influenza da parte della cucina messicana, estremamente speziata.
All’inizio del “900 molto compagnie chimiche erano interessate a capire il meccanismo della “piccantezza” principalmente per l’industria alimentare, ma anche per la produzione di gas ad uso militare. Il chimo Wilbur Scoville introdusse la Scoville Heat Unit, abbreviato SHU, come unità di misura: divenne da subito molto popolare e, soprattutto per alcuni cibi e salse, è uncriterio di giudizio davvero fondamentale.Per valutare la piccantezza di un peperoncino se ne diluisce l’estratto in un composto di acqua e zucchero. La piccantezza aumenta in maniera proporzionale alla quantità di acqua e zucchero necessaria a rendere non più percepibile la sensazione di calore. Il punto più alto della Scala è stato posto arbitrariamente a 16.000.000 di gradi Scoville e corrisponde al capsaicinoide più potente, la capsaicina pura . Dalla parte opposta della scala troviamo invece il peperone dolce da mensa che, generalmente, non è per nulla piccante e quindi non necessita di interventi di diluizione.Unità Scoville | |
16.000.000 | Capsaicina pura |
16.000.000-13.500.000 | Capsaicina in cristalli |
9.100.000 | Nordiidrocapsaicina |
8.600.000 | Omodiidrocapsaicina |
7.100.000 | La salsa più piccante |
5.300.000 | Spray della polizia |
2.200.000 | Carolina Reaper |
2.000.000 | Trinidad Moruga Scorpion |
2.000.000 | Spray per difesa personale negli U.S.A. |
1.463.700 | Trinidad Scorpion |
1.382.118 | Naga Viper |
1.176.182 | Infiniti Chili |
1.100.000 | Naga-Bih Jolokia, Naga Morich |
1.000.000 | Trinidad Scorpion |
923.000 | Dorset Naga |
580.000 | Habanero Red Savina |
400.000 | Red Habanero |
350.000 | Habanero Chocolate, Scotch Bonnet |
300.000 | Habanero Mustard. red Rocoto, White Habanero. Yellow Habanero |
150.000 | Orange Thai. Red Thai. Red Dragon |
50.000 | Tabasco |
10.000 | Jalapeño |
3.000 | Calabrese |
0 | Peperone dolce |
All’inizio del secolo scorso questo era sicuramente il procedimento più all’avanguardia disponibile, ma ha certamente dei difetti. Prima di tutto il giudizio è senza dubbio molto
In tempi recenti, quindi, vi è stata la necessità di impiegare metodi più moderni per avere risultati oggettivi, omogenei e veritieri.
Attualmente, in ambito scientifico, si utilizza prevalentemente il test HPLC (High Performance Liquid Chromatography),cioè la cromatografia liquida ad alta prestazione. In definitiva ci si avvale di uno spettrometro di massa per ottenere un cromatogramma. Questo ci dirà esattamente la quantità rispettiva di capsaicinoidi contenuta e conseguentemente il grado di piccantezza dello specifico peperoncino. È stata anche introdotta una nuova scala di valori detta ASTA. La piccantezza non è causata da una sola molecola: in realtà in gioco vi sono almeno 5 composti, molto simili nella struttura, ma che interferiscono in maniera diversa con i nostri recettori.
Non è sempre facile regolarsi con la quantità di polvere o con i frutticini freschi o essiccati: può così capitare di esagerare e rendere un piatto immangiabile.
Rimediare è difficile, possiamo però cercare di spegnere l’incendio in bocca.Partiamo dal presupposto che i capsaicinoidi non sono idrosolubili: bere acqua è quindi vano, se non controproducente. Sono invece molto affini ai grassi, in particolare a quelli contenuti nei latticini. Ci possono quindi essere molto utili latte, panna, gelati e yogurt. La piccantezza di un piatto di pasta può essere smorzata con un’abbondante grattata di formaggio. Ad ogni modo un valido aiuto può derivarci da tutti i lipidi.Altrettanto utili sono i liquori: l’alcool infatti riesce a legarla e toglierla dalle nostre mucose: un limoncello o un amaro possono quindi essere una soluzione. Un rimedio meccanico consiste invece nel mangiare della mollica di pane che, come una gomma, rimuove le molecole dalle nostre papille gustative. È molto importante ricordare che i capsaicinoidi sono molto resistenti: non vengono degradati dal freddo, dal caldo o dagli acidi presenti nel nostro stomaco. È per questo che i peperoncini possono essere essiccati o congelati senza perdere la piccantezza. Bisogna però segnalare che oltre che in bocca, la sensazione di bruciore può giungere fino alla parte terminale dell’intestino: poniamo particolare attenzione, quindi, se noi o un nostro ospite fosse, sotto
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