Il mandorlo in fiore Prezzo: in offerta su Amazon a: 10€ |
Originario e poi coltivato nella valle di Tehuacán, nello Stato di Puebla, nel sud-est del Messico, tra il 5200 e il 3400 a.C., l’amaranto – 'huauhtli' in azteco, 'bledo' in spagnolo, 'kiwicha' tra gli andini – fu uno dei prodotti alimentari di base delle popolazioni pre-colombiane. Inca, Aztechi, popoli nativi americani e messicani lo utizzarono come verdura e per i minuscoli semi tondi commestibili (di colore chiaro nelle specie domestiche), molto appetibili e di facile cottura, ma anche fondamentale a livello culturale e religioso. Cibo usuale tra le popolazioni amerindie (Navaho, Apache, Pueblo, ecc.), i semi di amaranto venivano mescolandoli con mais nero e acqua dagli Zuni per formare delle palline da appoggiare su una griglia di bastoncini fissati sopra una pentola di acqua bollente e cucinarli a vapore. Ma, per tradizione, i semi di amaranto venivano anche sparsi a terra dai sacerdoti per invocare la pioggia.
I semi tostati ‘palomitas’ (colombine), che scoppiavano diventando croccanti sul fuoco, venivano macinati a farina dagli Aztechi per unirla a mais e miele e formare degli idoli di pasta (‘zoale’) che rappresentavano per lo più il dio della guerra Huitzilopochtli oppure gli dei del raccolto, della fertilità, dell’acqua; aspersi del sangue dei sacrifici umani, le figure impastate venivano divise a pezzi durante i festeggiamenti in onore delle divinità, distribuiti e consumati dal popolo in una cerimonia di comunione. A questo si ispira il dolce tradizionale Alegría che, nella ricetta originale, prevede l’impasto di semi di amaranto tostati, zucchero di canna caramellato, acqua e limone, ma prevede varianti come la sostituzione con miele o melassa come dolcificante e l’aggiunta di uva passa o di scaglie di cioccolato. E’ diventato un popolare snack – a volte con l’aggiunta di riso soffiato – venduto dapprima in Messico, poi in Nord America e in parte dell’Europa mentre, nel nord dell’India, è un prodotto similare il ‘laddoos’ a base di ‘rajeera’ (amaranto) e miele. Gli Aztechi consumavano anche l’amaranto fresco e la farina dei semi cucinata in ‘tortilla’. Durante la colonizzazione spagnola (1519), tutti i rituali religiosi indigeni e la coltivazione della pianta furono vietati come sacrileghi dai missionari cattolici europei. Così l’amaranto rimase coltivato soltanto in piccole aree remote delle Ande e del Messico; nell’800, venne modestamente utilizzato in Asia come fosse un cereale e in Africa come verdura a foglia mentre, a scopo ornamentale, come pianta cespugliosa da giardino, era già impiantato in Europa dopo il ‘700. I semini di amaranto, simbolo della coltura alimentare e della cultura indigena, furono al centro di studi scientifici internazionali negli anni ’70 per l’eccellente composizione nutrizionale attestata. Dopo essere stato recuperata in Messico da varietà selvatiche, la coltivazione dell’amaranto a scopo commerciale si diffuse così in Messico, Sud America, Stati Uniti, Cina, Polonia e Austria. Alcune varietà di amaranto sono interamente commestibili. I germogli dei semi e le foglie fresche (anche dette ‘spinaci cinesi’) sono verdure da consumare crudi in insalata, se teneri, o da bollire (Caraibi, ecc.), da cucinare in minestroni misti, in umido (con riso in Sri Lanka), in frittura (Messico, Perù, Cina, India) oppure da essiccare per l’utilizzo come spezie. In India, l’amaranto è un ingrediente in diversi piatti, tra i quali il ‘keerai masial’ a base di un purè di queste foglie bollite, saltata con peperoncino rosso, aglio, cumino, curcuma, ecc. nello Stato indiano di Tamil Nadu. La chiara radice di amaranto, gustosa per il sapore simile a quello dei latticini, viene cucinata con pomodoro o con succo di tamarindo, è molto gustosa e ricorda il sapore dei latticini. In Grecia, la ‘vleeta’ consiste nelle foglie di amaranto bollite, condite in insalata con cipolla tritata, olio di oliva, limone, ed è servita in accompagnamento alla frittura di pesce. Le piante di amaranto rappresentano un foraggio di alta qualità per l’alimentazione animale e sono trasformabili in compostaggio fertilizzante per i terreni. I semi di amaranto, che si raccolgono scuotendo le cime delle piante più datate, si possono consumare crudi da freschi oppure essiccati e cucinati (dopo una brevissima tostatura, anche insieme a cereali integrali) come addensanti (zuppe, stufati) dal sapore delicato leggermente dolciastro, soffiati (merendine, croccanti), ridotti in fiocchi (muesli, pappe), macinati a farina (crepes, pasta o, mescolata a quella di altri cereali dato che non lievita per tortillas e prodotti da forno come focacce, pane, dolci, ecc.). In Nepal, i semi di amaranto sono cucinati in brodo (‘sattoo’) o macinati in farina per preparare i ‘chapati’. In Messico, la popolare bevanda calda ‘atole’ è a base di farina di amaranto, latte, zucchero, cannella e vaniglia. In Perù, dalla fermentazione dei semi si ricava la birra; i fiori servono come colorante alimentare – già utilizzato dagli amerindi Hopi – e, per tradizione, per arrossare le gote alle donne prima di ballare nelle feste di Carnevale.Dal punto di vista nutrizionale, i semi di amaranto coltivato sono un concentrato di nutrienti, una fonte vegetale eccezionalmente costituita da proteine complete fino al 16%-20% per l’elevato valore biologico di lisina – aminoacido essenziale di cui sono carenti tutti i cereali – e di metionina, ma anche di minerali dietetici (calcio, ferro, fosforo, magnesio, manganese, rame, ecc.) oltre a fibre grezze (circa 8%), amido, lipidi (6%-10%) ad alto grado di insaturazione come l’acido linoleico e lo squalene, vitamine A e C a livelli significativi. Il consumo di semi di amaranto, privi di glutine e altamente digeribili, è indicato nell'alimentazione delle persone affette da celiachia, da problemi digestivi e intestinali, e di bambini in fase di svezzamento, di convalescenti e di anziani, ma non è ancora diventato un alimento tradizionale in Occidente. Sono in corso studi di genetica, di etnobotanica e di agronomia per sviluppare l’amaranto nell'agricoltura moderna come pianta di grande valore economico e potenziale ‘raccolto del futuro’ a buon mercato capace di migliorare la nutrizione e la sicurezza alimentare e di favorire lo sviluppo rurale in modo sostenibile tra i popoli indigeni delle aree rurali aride subtropicali e tropicali. In questo senso giocano a favore di questa coltura l'elevato valore nutritivo globale, la rapida crescita, al'alto tasso di produttività, l’efficienza idrica, la facile raccolta dei nutrienti semi commestibili, che richiedono una scarsa quantità di combustibile per essere cucinati. 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