Nella tradizione ebraica e cristiana, il giglio era sinonimo di gioventù, verginità e fertilità. Con l’avvento del Cristianesimo, il fiore bianco ‘Lilium candidum’ – che sbocciava nella tarda primavera e fioriva in estate – diventò conosciuto come ‘giglio della Madonna’, ‘giglio di San Luigi’, o ‘giglio di Sant’Antonio’, sinonimo di castità, purezza e virtù, come testimoniano le scritture della letteratura e l’iconografia religiosa. Fu quindi strettamente associato a numerosi Santi martiri, tra i quali Sant'Antonio da Padova, protettore del matrimonio e patrono della procreazione, rappresentato con questo fiore in mano in nome della sua purezza, nel corpo e nell'anima, e della battaglia che condusse contro il demone fin dall'infanzia. San Giuseppe venne raffigurato tradizionalmente con Gesù Bambino in braccio, mentre teneva in mano un bastone da viandante dal quale sbocciavano dei gigli bianchi, l’unico fiorito miracolosamente tra quelli posti sull'altare, e quindi decisivo per designare lo sposo di Maria, secondo quanto tramandato dal Protovangelo di Giacomo. I tre petali del giglio vennero anche ritenuti simbolici delle tre virtù – fede, speranza e carità – e quindi allusivi alla Sacra Trinità. Simbolo della Passione di Cristo sulla croce e della Santa Rinascita nella primavera della Pasqua cristiana, il giglio fu considerato candido quanto era puro il Salvatore e simile alla tromba dell’Angelo Gabriele che gioioso annuncia la Resurrezione per la sua forma a cono. I gigli rientrarono nel simbolismo religioso floreale delle piante e dei fiori che rappresentarono la vita e le virtù della Madonna nei ‘Giardini di Maria’ medievali. In alcune opere d’arte religiosa di quest’epoca comparve anche il giglio nelle tonalità arancio acceso e rosso brillante che incarnavano l’amore di Dio, anche se talvolta la varietà in giallo venne identificata con la luce divina e quella in viola come sinonimo di umiltà e di castità. Ma era comunque comunemente condivisa l’interpretazione secondo il linguaggio dei fiori: il giglio bianco – sinonimo di innocenza, purezza, rettitudine, fede, santità – venne inserito in numerosi quadri per rappresentare la Madonna e l'Angelo dell'Annunciazione nel tardo Medioevo e nel primo Rinascimento. ‘L'Annunciazione’ – tempera all'uovo su tavola a lunetta dipinta da Fra Filippo Lippi negli anni 1450-1453 – presentò le due figure di profilo. Maria era seduta a testa china, in segno di umile accettazione, nel porticato di un giardino all’italiana recintato e raccolto, conosciuto come ‘hortus conclusus’ per pregare, simbolo artistico della Sacra Verginità perpetua. Un vaso con gigli bianchi, come quelli in mano all’Angelo Gabriele, si stagliava in primo piano sulla balaustra in pietra. Al culmine del Rinascimento, Leonardo da Vinci dipinse ad olio e tempera l‘Annunciazione’ (ca. 1472-1475) dell’Angelo Gabriele che recava il messaggio divino in uno scenario all’aperto, reggendo un giglio bianco con la mano sinistra, simbolo di purezza, mentre con la destra benediceva la Vergine Maria. Anche Sandro Botticelli raffigurò il giglio ne ‘L’Annunciazione’ (1489-1490), una tempera su tavola ambientata in uno spazio interno, seguendo la tradizione. Pare che la Chiesa cattolica romana avesse adottato questo fiore per rappresentare la Beata Vergine Maria sia per il candore dei petali, indicativi di tanta purezza, sia per il colore dorato diffuso al loro interno, che rimandavano a valori supremi. Ma, secondo un’altra versione, questo significato religioso conclamato del giglio in rapporto alla Madonna avrebbe compreso anche il profumo del fiore quale riferimento alla divinità, lo stelo per la fede e le foglie per l’umiltà.
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Una leggenda tramandava che inizialmente i gigli fossero gialli finché un giorno la Vergine Maria si chinò a raccoglierne uno che, al suo tocco, immediatamente cambiò colore e diventò bianco candido. Del fiore del giglio rosso del Caucaso si narrava invece che fosse bianco puro in origine ma, di colpo, avesse mutato colore e avesse chinato il capo arrossendo dalla vergogna quando Cristo gli si era fermato davanti guardandolo con sorpresa e imbarazzo nel giardino del Getsemani: aveva peccato di presunzione e di orgoglio non inchinandosi a Lui in segno di riverenza, come tutti i suoi simili, proprio per farsi notare per la bellezza straordinaria e per l’intenso profumo.
Il Lilium fu citato al primo posto in un elenco di 73 piante ritenute utili per le proprietà medicamentose in un ordine proclamato da Carlo Magno per i palazzi imperiali nell’anno 812. I contadini ponevano i fiori freschi di giglio sotto spirito per ottenere una lozione efficace contro le contusioni. Si preparavano anche delle acque distillate non profumate, visto che non si riusciva ad estrarre dal giglio l’olio essenziale dalla fragranza di mandorle. Il bulbo inodore era impiegato per le proprietà assai emollienti e moderatamente astringenti: allo stato fresco risultava vantaggioso in caso di edemi; bollito in acqua o latte veniva utilizzato ad uso esterno come cataplasma emolliente su infiammazioni e ulcere; era l’ingrediente principale di unguenti disinfiammanti e di antidolorifici da applicare su scottature, ustioni e callosità, ma anche in caso di tendini contratti. L’infusione ottenuta dalla radice del giglio bianco nel vino veniva data da bere per qualche giorno di seguito agli appestati. I bulbi freschi di diverse varietà di giglio sono rimasti nella tradizione culinaria orientale: una volta cucinati assumono un sapore dolciastro che risulta molto gradito soprattutto tra i cinesi e i giapponesi.
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